Ada Balzan: “La sostenibilità fa crescere il business. Ma solo se fatta bene”

“In Italia la tematica della sostenibilità è relativamente giovane e troppo spesso la si considera solo sinonimo di green, ambiente, efficientamento energetico. Invece sostenibilità è anche sociale e governance”. Le conseguenze di una interpretazione sbagliata, oppure parziale, del tema possono provocare anche danni enormi alla reputazione di un’azienda. Fare informazione, accompagnare imprenditori e manager nel percorso verso una maggiore sostenibilità, e quindi verso uno sviluppo del proprio business, è la mission di Ada Rosa Balzan, una dei massimi esperti di sostenibilità in Italia. Sua è stata una delle prime tesi di ricerca in turismo sostenibile. Responsabile nazionale dei progetti di Sostenibilità in Federturismo Confindustria, docente a contratto all’Università Cattolica del Sacro Cuore, docente nei master della Fondazione Cuoa, docente alla business school del Il Sole 24ore di Milano e Roma, ha alle spalle vent’anni di studi e progetti sul tema.

Lei ha iniziato a occuparsi di sostenibilità quando in Italia ancora non se ne parlava…
Allora il tema era ancora molto astratto. Mi ero però resa conto che un’economia più stabile e duratura sarebbe stata possibile solo se legata alla sostenibilità, intesa non solo come attenzione all’ambiente ma anche come welfare e governance.

Il nostro Paese quando è arrivato a questa consapevolezza?
Siamo ancora molto indietro rispetto ad altri. In Italia c’è una visione miope della sostenibilità, viene associata al solo aspetto ambientale, ecologico. Inoltre spesso c’è una cattiva informazione che, veicolata attraverso la comunicazione, rischia di essere controproducente, creando falsi messaggi e notevoli danni reputazionali.

Ad esempio?
Chi parla di “impatto zero” sbaglia, perché non esiste. Anche noi, mentre parliamo facciamo emissioni. Meglio dire “riduzione dell’impatto” o “compensazione”. E ancora, “100% naturale” non vuol dire nulla: pure l’arsenico lo è! La comunicazione corretta è fondamentale per proteggere e migliorare la propria reputazione.

Che vantaggi può avere un’azienda dalla sostenibilità? È solo una questione di immagine?
Il valore reputazionale di una società deriva per il 40% dalle sue performance sulla sostenibilità. È dimostrato poi che un’azienda sostenibile è anche più stabile, tanto che banche e assicurazioni considerano molto importante questo aspetto. Si pensi ad esempio a Banca d’Italia che a maggio dello scorso anno ha dichiarato di “dare valore alla sostenibilità degli investimenti”. Inoltre sono in continuo aumento i finanziamenti pubblici destinati alla realizzazione di specifici in questo campo, diventato un criterio strategico anche per Cassa Depositi e Prestiti. Senza contare, infine, che anche l’Unione Europea sta accelerando molto su questo tema negli ultimi mesi.

Quali sono state le aziende che, per prime, hanno avviato un approccio più sostenibile in campo ambientale, sociale, di governance?
Quelle di maggiori dimensioni e quelle che, avendo rapporti commerciali con i mercati internazionali, hanno avuto la necessità di adeguarsi a criteri di sostenibilità che all’estero si sono imposti molto prima che in Italia. Tuttavia anche le aziende più piccole si sono rese conto che seguendo questa strada possono acquisire maggiori segmenti di mercato: ci sono molte imprese che cercano solo fornitori sostenibili. Se non si rispettano determinate caratteristiche si rischia quindi di essere tagliati fuori dal mercato. Insomma, la sostenibilità è anche sinonimo di qualità, senza contare che permette di ottimizzare i costi.

Ci sono imprenditori, in Italia, che lo hanno intuito in anticipo sui tempi, e lei li ha seguiti in questo percorso. Può fare un esempio?
Un caso significativo è quello di Vecomp Spa, un’azienda veronese del campo informatico che si è certificata a fine 2019 con noi ed è la prima del settore Ict a livello europeo. In Vecomp hanno capito che ci sono opportunità anche di sviluppo commerciale, oltre che di brand reputation nell’essere sostenibili perché, come dicevo, molte imprese iniziano a cercare solo fornitori sostenibili.

Lei ha creato una piattaforma, Si Rating: si basa su un algoritmo creato insieme al suo team che permette di valutare come e quanto un’azienda sta operando nel segno della sostenibilità. Come funziona?
L’Italia è fatta di Pmi, ogni settore ha le sue caratteristiche e le dimensioni stesse dell’azienda determinano anche il peso degli strumenti. Per questo SI Rating non ha una valutazione unica che vale per ogni settore di attività ma opera sulle 77 differenti tipi di industria identificata dal Sasb, Sustainability Accounting Standard Board, l’organizzazione leader negli Usa per la definizione degli standard di rendicontazione non finanziaria. La piattaforma restituisce una fotografia puntuale e obiettiva di come l’azienda sta performando in relazione anche alla sua dimensione sulle tematiche ambientali, sociali e di governance e ai 17 obiettivi della Agenda 2030 delle Nazioni Unite. In questo modo, senza l’impegno di dover fornire una mole di documenti, l’azienda riceve le proprie “analisi del sangue” del proprio livello di sostenibilità. Si Rating è stato validato dall’ente di certificazione internazionale Rina e l’algoritmo che elabora i risultati si basa solo su strumenti già internazionalmente riconosciuti.

E come può essere impiegata questa “fotografia”?
Rappresenta la base per impostare un sistema di gestione in grado di portare l’azienda a migliorare in ogni area della sostenibilità. Inoltre, essendo un rating oggettivo e certificato è un valido strumento per la propria comunicazione della sostenibilità, quando la si vuole dimostrare con evidenze oggettive.

Quali sono i primi passi che suggerite alle aziende?
Molto dipende dal settore, dalla dimensione, da quanto già fatto talvolta anche in modo non consapevole per la sostenibilità. Nel caso dell’industria, partiamo sempre dall’ottimizzazione dei processi per passare poi alla ricerca di materie prime sostenibili, tenendo alta l’attenzione sul fine vita del prodotto. Sicuramente l’analisi iniziale di dove siamo per definire bene dove andiamo è essenziale.

 

A cura di Francesca Lorandi

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