Susanna Pescetti incontra Cassiopea

“La musica è il più grande amore della mia vita. Lei è dominante, è più forte di te, ma ti dona libertà nell’animo e nel pensiero.”

Susanna Pescetti, siciliana di nascita, napoletana per formazione musicale e veronese di adozione, è tra le poche donne al mondo a vestire i panni di direttore d’orchestra. 
Il talento coltivato fin da bambina con caparbietà e determinazione la porta a dirigere nei maggiori teatri del mondo, che conquista con fascino e carisma squisitamente femminili.

Una carriera iniziata da giovanissima: Lei, Maestro, la musica ce l’ha nel sangue? 
“È proprio così. Sono nata in una famiglia di musicisti: mio padre, Luigi Pescetti, mancato nel 2001, è considerato il simbolo della tradizione bandistica, capace di concentrare attorno a sé centinaia di ragazzi e trasmettergli la passione per questa arte musicale. E così io a due anni andavo a teatro con lui; ricordo quando mi portò a vedere Lucia di Lammermour, mi innamorai subito di Edgardo. A sei anni studiavo pianoforte, a otto mi sono trasferita da Catania a Napoli per frequentare il Conservatorio San Pietro a Majella”.

Lei si è distinta subito per il suo grande temperamento e per la tenacia, che la hanno portata a collaborare fin da giovane con varie istituzioni orchestrali e cameristiche. Quanto incide la preparazione?
“Tantissimo. Ho avuto la fortuna di studiare al Conservatorio di Napoli, che considero tra i più prestigiosi d’Italia, con ottimi Maestri come Vincenzo Vitale e Bruno Mazzotta. Mi sono diplomata giovanissima in pianoforte, poi ho proseguito gli studi in composizione e direzione d’orchestra, diplomandomi col Maestro Donato Renzetti. Ci si dimentica troppo spesso che la scuola italiana è una delle migliori del mondo”.

Maestro Pescetti, è vero che la sua carriera da direttore d’orchestra è nata grazie alla frattura di una mano? Quante volte quello che sembra un ostacolo può rivelarsi una fortuna e trasformare in positivo la nostra vita… 
“Per me è stato proprio così. Non avrei mai lasciato gli studi di pianoforte per dedicarmi a composizione e direzione, se non fosse successo questo incidente. Dirigere è il sogno nel cassetto di tutti i musicisti: è il modo più completo di fare musica”.

Sono ancora poche le bacchette rosa in Italia. E nel mondo? 
“Per fortuna la squadra si sta allargando, soprattutto nel mondo orientale, perché là sì che si investe sui talenti. In Italia siamo ancora pochissime, del resto non ci sono opportunità lavorative. In Europa va un po’ meglio, ma nemmeno lì brillano le donne. È considerato ancora un lavoro “da uomini”. Anche nell’immaginario della gente”.

È proprio così. Quali sono le difficoltà incontrate nella carriera per il fatto di essere donna?
“Tante. Non vale nemmeno la pena elencarle. Ci sono ancora molti condizionamenti nei confronti della figura femminile, ma non è l’essere donna a penalizzarti, sono i “poteri occulti”, quelli che stabiliscono ruoli e carriere”.

Essere donna l’aiuta nel lavoro quotidiano?
“Direi di sì. La donna è più attenta e sensibile e questo la porta ad avere maggiore rispetto delle singole individualità. Nella nostra grande squadra che si chiama orchestra ognuno è il numero uno. In questo mestiere ci vuole più autorevolezza che autorità. A volte basta uno sguardo o un gesto per capirsi”.

Attualmente è docente della cattedra di pianoforte principale al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia. I giovani subiscono ancora il fascino delle arti, della musica?
“Sì, ma non è facile trasformare questa passione in lavoro. Oggi è difficile insegnare ai ragazzi, perché loro sono molto più veloci, tutto va veloce. Mentre lo studio della musica, del pianoforte, è lento, continuo, costante. E poi, come dicevo prima, c’è il grande problema dell’inserimento nel mondo del lavoro. Se da un lato c’è sempre meno possibilità di fare la gavetta, dall’altro continuano ad esserci cachet altissimi per i soliti nomi fra i quali primeggiano gli artisti stranieri. Gli sprechi abbondano e noi non cresciamo”.

Pertanto anche per i “musicisti” l’unica possibilità è fuggire all’estero?
“È triste ma è così. Là hai più possibilità di lavorare. Ovunque io vada – Messico, Turchia, Austria, Portogallo, Grecia, Romania, Russia, Giappone, America – incontro sempre artisti italiani che vengono portati sul palmo di mano”.

La colpa è pertanto di un sistema malato?
“Senza dubbio, ma anche di una mancanza gravissima del nostro Paese: il fatto che i giovani non vengano educati alla musica classica e alle arti in genere. Come se tutte le materie umanistiche non fossero strettamente legate fra di loro. La colpa è della scuola ma anche della televisione”.

Viviamo in un momento in cui le arti non godono di ottima salute o meglio continuano ad essere il fanalino di coda di un Paese conosciuto nel mondo proprio per la sua arte. Cosa pensa a riguardo?
“La nostra arte viaggia nel mondo. Pensiamo ad esempio al linguaggio della direzione d’orchestra, è un linguaggio universale. Tutta la terminologia della musica è italiana e ti capiscono in tutte le parti del mondo. Noi italiani abbiamo scritto la musica. E noi cosa stiamo facendo di questo patrimonio inestimabile? Lo calpestiamo anziché difenderlo, onorarlo e diffonderlo”.

Lei dirige un’orchestra sua: “I Solisti di Napoli”, creata dall’Associazione Napoli Capitale Europea della Musica.

“Sì sono direttore musicale de I Solisti di Napoli. La formazione è quella di un’orchestra da camera: varia dai 18 elementi, se facciamo musica barocca, ai 60/70 a seconda dei programmi. Con loro faccio un lavoro di ricerca: tutte prime esecuzioni in epoca moderna. Il nostro repertorio spazia dalla scuola napoletana e veneziana del Settecento fino alla musica contemporanea”.

La sua è una vita “in tournée”, tra musica e studio. Oltre ai concerti che tiene con I Solisti di Napoli, è invitata a dirigere le orchestre sinfoniche nazionali di tanti Paesi del mondo. Immagino che non sia facile tenere questi ritmi. 
“In effetti non lo è, ma quando c’è l’amore, tutto diventa possibile. E la musica è l’amore più grande della mia vita. Sono via la maggior parte dell’anno. Negli ultimi mesi sono stata in Messico, Romania, Argentina, Brasile, poi in tournée estiva con I Solisti di Napoli, e adesso a gennaio riparto per San Pietroburgo. Poi mi attendono Città del Messico, Mosca e Tokyo. Va anche detto che quando mi fermo per un po’, continuo a studiare, anche otto, dieci ore al giorno”.

Quali concerti ricordi con particolare emozione?
“Sono tanti, ogni concerto ti regala emozioni diverse. È il pubblico a fare la differenza. Però ce n’è uno che ho nel cuore: ero a New York, alla Carnegie Hall con l’orchestra New England Symphony, suonavamo Pergolesi. Nel mio stesso camerino c’era stato il grande Arturo Toscanini”.

Che rapporto ha con la musica contemporanea?
“Mi affascina molto. Certo è complessa e intellettuale, il primo approccio è sempre difficile. Sia per il musicista che per il pubblico. Non importa se non la capisci, la musica ti deve comunque emozionare. Il linguaggio dell’arte, se è tale, arriva sempre al cuore”.

I compositori che ama di più?
“Difficile elencarli, perché mi innamoro sempre di chi sto studiando. Di certo tra i miei preferiti ci sono Bach, Mozart, Verdi, Bellini, Puccini, Brahms…l’elenco è lunghissimo”.

Fascino e carisma: due doti straordinarie. Sono fondamentali per fare il direttore d’orchestra?
“Sono doti importanti che di certo avvalorano la mia professione. Devi avere una grande forza interiore per poter coinvolgere tutte le realtà che hai davanti, dai musicisti al pubblico. Pertanto il carisma è molto importante, anche nei confronti dell’orchestra. Ai musicisti bastano pochi minuti per capire che tipo di direttore sei. È fondamentale creare un’energia speciale tra te e loro. Solo così si può trarre il massimo”.

Maestro Pescetti, lei rivendica sempre la sua femminilità sul palcoscenico, privilegiando abiti lunghi fascianti spesso dai colori vivaci, al classico frac. E poi quando dirige sembra danzare assieme alla sua bacchetta. Anche questo è carisma!
“È vero, tengo moltissimo alla mia femminilità. Amo gli abiti lunghi, spesso dai colori accesi. Talvolta dirigo scalza, è un fatto di libertà nel movimento, di energia con la terra. In quel momento è come se tu avessi in mano un pennello al posto della bacchetta. Emani suoni, luci, colori”.

A chi riconosce grande carisma? Qual è il direttore d’orchestra che ama di più e perché?
“Claudio Abbado. Mentre dirige ha una luce, un allure unici. Con la sua bacchetta dona emozioni irripetibili. E protagonista è la musica, non il direttore. Non di meno amo anche Carlos Kleiber”.

Ha un aneddoto, un complimento particolare che conserva nel cuore?
“Sì, è recente. A fine concerto un signore anziano mi si è avvicinato dicendomi: ‘lei ruba le note dal cielo per donarcele’. Mi ha toccato molto.
La gente ha bisogno di arte, bellezza, ha bisogno di emozionarsi”.

Maria Teresa Ferrari

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