Sara Mozzo di Mozzo Prefabbricati incontra Cassiopea

La crisi ci ha obbligati a cambiare passo: dopo i problemi arrivano i benefici.

Oggi qualità, innovazione, responsabilità, formazione hanno un significato nuovo: e anche se i risultati economici tardano, la crescita organizzativa c’è stata. Ora servirebbe lo stesso salto di qualità per valorizzare il lavoro delle donne, ma qui l’Italia è gravemente in ritardo.

Sara Mozzo, veronese, dopo il liceo scientifico si è laureata in Ingegneria Civile a Padova con una specializzazione in Strutture. Ha frequentato al Cuoa un master in Gestione integrata d’impresa, seguito da uno stage e poi da un incarico tecnico (di progettazione strutturale) in una grande azienda friulana. A fine 2006 si è trovata di fronte a un bivio: proseguire la collaborazione con l’azienda di Udine o entrare nell’azienda di famiglia. Rientrata a Verona, con l’incarico prima di progettista strutturale, poi di responsabile dell’ufficio tecnico aziendale, è oggi direttore generale dell’azienda con supervisione sugli aspetti tecnici e operativi. Da qualche anno segue acquisti e risorse umane, alla cui formazione dedica con convinzione molte energie.

Quest’anno si “festeggia”, per così dire, il decennale della crisi. Da allora nell’impresa, in economia e nella società è cambiato tutto: è più un dramma o un’opportunità?
“Noi in azienda la crisi abbiamo cominciato a sentirla prima del fallimento di Lehman o del tracollo delle Borse. Una dozzina di anni fa c’erano stati i primi momenti difficili perché il settore delle costruzioni stava già rallentando, mentre tutti intorno a noi correvano. Solo dopo abbiamo capito che era una corsa drogata e che si stava andando verso una caduta globale. Ci siamo trovati a fronteggiare la riduzione del fatturato, e quindi abbiamo dovuto pensare a come ridurre i costi, a chiederci che cosa non andava, a come ottimizzare tutto il processo. Un’autoanalisi difficile, che però ha portato a risultati molto positivi”.

Insomma: non tutti i mali, nemmeno le recessioni, vengono per nuocere.
“Esattamente. Per rispondere alla domanda: sì, devo riconoscere che grazie a quegli anni di crisi oggi abbiamo una struttura che ci ha permesso di moltiplicare la produttività e ne siamo venuti fuori senza aver mai dovuto rinunciare alla qualità, anche se all’inizio questo impegno ha rallentato la ripresa. Perché la qualità ha un costo che purtroppo non sempre viene riconosciuto, soprattutto quando si tende a guardare solo il prezzo… In ogni caso la crisi ci ha stimolato a migliorare il prodotto, cosa che oggi la clientela ci riconosce come un fattore vincente: ha garantito la nostra reputazione e favorito il passaparola. Credo che la qualità sia un valore solido, saldo: così come l’innovazione, l’aggiornamento dei prodotti, il modo in cui ci si propone nel marketing, la responsabilità nei rapporti commerciali”.

Mi fa qualche esempio di responsabilità e di innovazione rapportate all’azienda?
“Una cosa di cui siamo molto orgogliosi è non aver mai lasciato i nostri dipendenti senza lo stipendio o avere sempre onorato le fatture dei fornitori. E nonostante le distorsioni del mercato, alla fine questo si ripaga in termini di affidabilità. A proposito delle innovazioni vorrei invece citare il percorso interno di formazione delle risorse umane al quale abbiamo dedicato molte energie. Perché è vero che c’è la crisi, ma la squadra deve saper lavorare bene e remare nella stessa direzione per portare a casa i risultati, e non ci si può arrivare senza un lavoro sulle motivazioni e i modelli di comunicazione. Ad esempio oggi molte idee innovative arrivano dallo staff aziendale, migliorie e proposte formulate dagli operai come dal top management. Credo che gli ostacoli siano agevolmente superabili purché si condividano obiettivi e problematiche. Attualmente stiamo lavorando in formazione con i responsabili delle funzioni interne e gli effetti si vedono già: speriamo che poi arrivino anche le soddisfazioni economiche… ma bisogna sempre investire sul tempo”.

Da un mondo all’altro, ma sempre sul filo del rasoio: come donna e imprenditrice qual è la sua soluzione per tenere in equilibrio ruolo aziendale e privato, lavoro e famiglia?
“La risposta è una sola: puntare sull’organizzazione e sulla pianificazione ai massimi livelli. Certo è più facile dirlo che farlo, ma non ci sono alternative. E alla fin fine funziona: ho due bambini e per venire incontro alle loro giuste esigenze mi sono abituata a lavorare un po’ meno ore in azienda, però sono ore super-concentrate, perché il mio obiettivo è di finire gli impegni e dedicare il resto del tempo alla famiglia. Non sarà così per sempre: ora sono piccoli, ma tra qualche anno saranno loro a non volermi più tra i piedi…”

Tutto bene, quindi? È solo una questione di programmarsi bene la giornata?
“No, naturalmente. Al di là del fatto che posso contare sull’aiuto dei nonni, il difficile resta gestire l’inevitabile disagio di non riuscire a fare tutto. L’importante è essere cosciente di avere un ruolo in famiglia e uno nell’impresa. E in azienda questo significa essere coscienti che anche i tuoi collaboratori hanno una famiglia, il che raddoppia la responsabilità. Ovvio che il primo pensiero va ai tuoi bambini, al loro benessere: di qui l’impegno a dedicare loro tutto il tempo possibile. Ma senza per questo sentirsi in colpa”.

Ad avere un po’ di colpa però è la comunità, lo Stato, la società che non fa abbastanza.
“Questo è indubbiamente vero. I singoli bene o male fanno la loro parte: io ho raggiunto il mio “equilibrio dinamico”, che cambia e si adatta ogni giorno, però funziona. Purtroppo è il sistema Paese che non aiuta le famiglie, soprattutto le madri – penso solo agli orari degli asili – a fare parte a pieno titolo di una società che è cambiata, anche per poter finalmente dare il giusto spazio alle competenze femminili. In Italia siamo 1,7 milioni di imprenditrici e di professioniste, e siamo le prime in Europa davanti a Inghilterra e Germania. Eppure non si fa abbastanza per supportare questa crescita, che avvantaggerebbe tutto il Paese”.

Passiamo a un altro capitolo importante del suo lavoro di imprenditrice: è diventata da poco vicepresidente di Confindustria Verona nella squadra di Michele Bauli.
“Ho ricevuto la delega al Marketing e ai servizi per lo sviluppo aziendale. Il mio obiettivo è accrescere la base associativa dopo che la crisi ha inciso molto duramente sulle aziende, e quindi anche sulla rappresentanza nelle associazioni. È importante chiamare a raccolta il maggior numero possibile di aziende, anche piccole e medie. Parlerò con gli imprenditori per promuovere le nostre attività e i vantaggi anche economici che associarsi comporta”.

Quali servizi possono essere più utili alle aziende in questo momento?
“I benefici da sfruttare sono numerosi. Confindustria propone servizi utili per affrontare la burocrazia, numerose convenzioni, i consorzi di acquisto per le forniture di energia, le reti di impresa per creare un network tra clienti e fornitori e generare business anche all’estero. L’importante, in definitiva, è restituire alle imprese la loro forza e la loro voce, avendo alle spalle il supporto di un consolidato sistema economico-organizzativo. A noi spetta portare la nostra testimonianza di imprenditori che qui sono cresciuti molto”.

Che cosa può aiutare davvero le aziende a migliorare in un mercato che cambia?
“Sicuramente la formazione. Ci siamo sempre concentrati sul leader, sull’imprenditore, il quale però ci mette già il 150 per cento della sua energia. Dobbiamo quindi puntare anche alla formazione dei suoi dirigenti e dei collaboratori, con percorsi di crescita manageriale che favoriscano la creazione di strumenti di autovalutazione. Bisogna crescere nei ruoli e fornire nuove soluzioni e possibilità da cui attingere per migliorare e strutturarsi. Oggi c’è un network che può servire come serbatoio di idee e soluzioni, o almeno spunti di indirizzi organizzativi adatti a sviluppare le potenzialità delle piccole e grandi aziende. Vogliamo far crescere i gioielli dell’industria veronese, e ritengo che la formazione sia la via giusta”.

Lei è stata finora anche molto attiva nel Gruppo Giovani: che cosa ha imparato?
“Quando ho cominciato a frequentare il Gruppo, su spinta di mio papà che aveva capito quanti stimoli ne avrei potuto trarre, mi sono resa conto che dedicare del tempo a questa attività è un arricchimento. Peccato che non ci sia maggiore disponibilità. L’impegno si trasforma in passione, sei soddisfatto quando i progetti che nascono e si sviluppano tra i giovani sono un accrescimento per tutte le imprese di oggi e di domani. Ti rassicura sulle tue capacità e impari a lavorare in gruppo, soprattutto quando l’obiettivo è il rapporto tra scuola e società come è stato per me. Mi ha anche aiutato ad aprirmi, perché di carattere sono un po’ chiusa: confrontarsi con gli altri e mettersi in gioco su temi che non conosci è una sfida. Prima di tutto apprendi qualcosa per te, poi lo trasformi in un beneficio per le imprese: ascolti i bisogni degli altri e ti porti a casa nuove competenze e conoscenze. Ma la cosa che mi rimane più dentro è che impari a metterci la faccia, con onestà a trasparenza”.

 

Stefano Tenedini

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