Massimo Sbardelaro, di Vecomp, incontra Cassiopea

Addio rendite di posizione, ora si cresce integrando idee e competenze.

Come continua a svilupparsi una società che fornisce software a professionisti e aziende? Specializzandosi e “innamorandosi” del cliente e non del prodotto. Ma anche scegliendosi i partner giusti e attraendo i migliori collaboratori col giusto equilibrio tra lavoro e privato.
Masssimo Sbardelaro, è il presidente di Vecomp SpA. Diplomato in ragioneria nel 1978 all’Istituto Tecnico Commerciale “Pasoli”, vive a Verona, è sposato e ha due figlie. Da sempre attivo nella “costruzione” delle imprese, nei primi anni Ottanta fonda con un socio la sua prima azienda di elaborazione dati per conto terzi. Nel 1984 entra nella compagine societaria di Vecomp Srl, di cui fino al 1999 è amministratore delegato. Tra gli anni Ottanta e i Novanta contribuisce a creare varie società del gruppo. Nel 2000 diventa presidente di Vecomp Srl, che porterà a trasformarsi in SpA nel 2010. Oggi guida Vecomp e le controllate e fa parte dei consigli di amministrazione di altre partecipate. Appassionato di musica, di fotografia e di sport, sostiene da molti anni una delle realtà calcistiche veronesi, la Virtus Vecomp, che oggi milita nel campionato di serie D.
Vecomp cresce ormai da 35 anni anche in tempi di crisi: qual è la visione imprenditoriale che vi guida, e quali sono state le scelte più azzeccate?
“Credo soprattutto che Vecomp sia rimasta se stessa, sia pure sviluppandosi in dimensioni fino a diventare grande. Provo la grande responsabilità di guidare, con tutti i miei difetti, una realtà tecnologica ormai storica… anche se io a dire la verità con l’informatica c’entro davvero poco! Ammetto anche di aver capito che cosa vuol dire essere imprenditore solo dopo anni di lavoro: sono “nato” ragioniere, mi limitavo a tenere d’occhio i numeri. Anzi, la molla è stata questa: per me i computer erano strumenti di lavoro per la contabilità”.Quindi ne ha intuito le potenzialità: ed è proprio questo il fiuto dell’imprenditore…
“Ho capito che lo strumento interessava e c’erano le potenzialità per diffondere i software in grado di semplificare il lavoro dei professionisti. Così ho iniziato a dare una mano agli altri soci: loro erano soprattutto tecnici informatici e io tiravo le fila della loro creatività, facendo la sintesi di quella fucina di idee. All’inizio il nostro modello imprenditoriale era investire sul mercato delle piccole imprese e delle aziende pubbliche, fornendo soluzioni operative e software gestionali, attraverso più società specializzate nei vari segmenti”.Già allora avevate imboccato una strada di successo: e poi cos’è cambiato?
“Che la mia visione di sviluppo si è scontrata con la crisi globale dell’informatica. Poteva essere uno stop definitivo, eppure proprio in quel momento in Vecomp si sono create le condizioni per un salto di qualità: “spacchettata” la società, ognuno si è dedicato al settore che riteneva vincente. Io ho tenuto per me la società capofila, più legata al territorio e ai rapporti commerciali: perché la mia è un’idea dell’informatica al servizio delle imprese, e non il contrario. Infatti ancora oggi ritengo che sia un errore innamorarsi del prodotto e non adattarlo ai bisogni del cliente, metterlo al servizio del processo e dello sviluppo”.

Questa ridefinizione della mission è stata utile per procedere nella crescita?
“Certamente. Con il tempo ho scoperto di possedere non solo capacità di coordinamento, ma anche una buona conoscenza dei meccanismi del mercato. Ad esempio io credo che si debba prima individuare che cosa serve davvero ai professionisti e alle piccole aziende, poi si approfondiscono i dettagli tecnici. Trovo sbagliato dar la precedenza all’hardware senza valutare e offrire soprattutto le soluzioni a valore, che aiutano a crescere anche le imprese che non si possono permettere di mantenere un esperto di informatica al loro interno. Le nostre soluzioni gestionali fanno da ponte tra i clienti e i loro partner e consulenti, come il nostro core business, rappresentato dai professionisti e soprattutto dai commercialisti”.

A proposito di partner: meglio soli o puntare sulla cooperazione, che si tratti di alleanze tecniche o commerciali?
“Ritengo che si debba possedere un progetto autonomo, ma che sia necessario svilupparlo attraverso uno o più rapporti di collaborazione. Da molti anni abbiamo una partnership con la società Sistemi di Torino, e insieme possiamo servire 1400 clienti, dall’artigiano fino alla grande impresa. Ecco, ritengo un grande punto di forza avere la capacità di gestire così tanti clienti, anche molto diversi tra loro, diversificando i mercati per non doverne subire i contraccolpi. Unirsi oggi è indispensabile anche per raggiungere la necessaria dimensione, quella massa critica senza la quale non si progredisce oltre un certo livello”.

Oggi un nuovo modello di partnership sono le reti d’impresa. Cosa ne pensa?
“Una rete l’abbiamo anche noi, e si chiama proprio “La Rete IT”. L’abbiamo costituita con due aziende di Vicenza e Padova per condividere e proporre soluzioni e competenze, ed è di certo un modello interessante nel quale continuare a credere, anche se l’inizio è sempre più impegnativo del previsto. Ritengo che in futuro con i partner dovremo e sapremo non solo condividere il progetto, ma renderlo ancor più efficace mettendo in comune qualità e affidabilità. Ma per diversificare l’offerta Vecomp riesce comunque a fare rete al proprio interno: ad esempio qui abbiamo una web agency con 12 persone, che non è normale se si pensa che eravamo nati solo per commercializzare software…”

Diamo uno sguardo al mercato: che strategie avete rispetto ai competitor?
“Ah, ma in confronto a noi i concorrenti sono fermi… No, a parte gli scherzi, noi crediamo sempre più in una visione di rafforzamento basata sul coordinamento di più competenze. Ci piace vederci come dei system integrator: le altre aziende simili a noi magari crescono, annettono altre società, comprano, però non assimilano le vare energie e così finiscono per disperderle. Oppure vorrebbero imitarci ma non hanno le forze o le possibilità”.

Come immagina il posizionamento e l’attività di Vecomp tra cinque o dieci anni?
“Il progetto che io come imprenditore immagino per l’azienda è far vivere da protagoniste con noi le migliori realtà professionali del territorio, complementari e funzionali al nostro sviluppo, che sia in rete o integrate in azienda. Perché il vero salto di qualità puoi farlo solo se sei strutturato, se puoi governare i processi e ne hai le risorse. Nel futuro lavoreremo sempre più sulla soddisfazione… no, sulla felicità del cliente. Il mercato sta trasformando i modelli di business e i margini di errore si riducono: vendiamo grandi quantità di piccoli servizi, con margini minimi ma moltiplicati per il numero e per la frequenza”.

Insomma, si fa fatica a riproporre la formula che per voi ha funzionato fin qui.
“Non è che si fa fatica, non si può: non ci sono più rendite di posizione, si conquistano gli spazi e la clientela tutti i giorni. La nostra arma vincente, se vogliamo chiamarla così, è che il mercato ormai ci riconosce perché ci apprezza. Dovremo sicuramente proseguire nella diversificazione intelligente delle soluzioni offerte, portando in Vecomp piccole realtà che rendano efficace e virtuosa l’economia di scala, facendo formazione e cultura d’impresa”.

Rientra nel progetto anche l’idea di fare spazio in azienda alla Vecomp Academy?
“Ci rientra eccome! Abbiamo ristrutturato e riordinato la sede per ospitare i nuovi colleghi ma anche per accogliere persone che ci portino idee, oltre che per assicurare un servizio di formazione ai nostri clienti. La scommessa è far crescere le aziende e i loro protagonisti in modo che si diffondano le competenze, che tutti impariamo a moltiplicare le prospettive di sviluppo e i ricavi, e non i costi. È sempre l’idea di dare ai clienti un pacchetto composito di servizi generati dalle nostre business unit interne. E l’Academy racconta anche la nostra voglia di non parlare sempre e solo di informatica, ma di temi che interessino i clienti, le imprese e le realtà territoriali. Un percorso impegnativo, ma molto stimolante!”

Oggi Vecomp è impegnata su qualcosa che non c’entra niente con i computer. Che cos’è il “Family audit”, e che cosa dice di voi?
“È un progetto patrocinato dal Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri per verificare se nelle aziende il rapporto tra vita privata e lavoro è nel giusto equilibrio. Il lavoro proseguirà tre anni e alla fine ci sarà una certificazione che ci dirà se è vero ciò in cui crediamo, e cioè che le persone sono il nostro vero patrimonio. Un esempio? Se mi accordo con un dipendente per un orario part time, questa intesa non deve trasformarsi in una concessione “punitiva”. Vogliamo capire, aiutati in questo da una ex collega diventata consulente delle imprese, se ci stiamo occupando correttamente delle esigenze familiari delle persone, raccogliendo idee e proposte, cosa possiamo fare di più e di più interessante, sempre con l’obiettivo di rendere ancora più attraente lavorare qui in Vecomp. Siamo tra i precursori, solo cinque aziende in tutto il Veneto, e ci mettiamo in gioco non per filantropia, ma per una nuova cultura delle relazioni”.

Stefano Tenedini

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