Silvia Nicolis incontra Cassiopea

Chi dice donna dice dialogo… ma senza rinunciare a concretezza e sintesi.

Cresciuta in ambienti maschili e competitivi, non ha trascurato il patrimonio di sensibilità e di mediazione tipico dell’universo femminile. Sa tenere in equilibrio il lavoro e il privato, si impone quando serve ma crede nello spirito di squadra dove le regole sono uguali per tutti.
Silvia Nicolis, imprenditrice di Villafranca, è presidente della sezione Turismo e consigliere incaricato per le Relazioni associative e il Marketing di Confindustria Verona, vicepresidente di Federturismo per il Veneto e componente di giunta della Camera di Commercio di Verona, la prima donna a rivestire questo ruolo sul territorio. È anche vicepresidente di Museimpresa, creata da Assolombarda per valorizzare tramite i musei e gli archivi d’impresa la storia industriale italiana e la sua eredità. In precedenza era stata vicepresidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Verona. Sin dalla sua apertura nel 2000 dirige il Museo fondato dal padre Luciano, e interpreta in modo dinamico il concetto di museo-impresa, legando la visione imprenditoriale e la cura per il mercato alla creatività, la sperimentazione e l’apertura al nuovo tipica delle istituzioni culturali.
Donna e imprenditrice di successo: come conciliare i tempi del lavoro e del privato?
“Innanzitutto secondo me essere imprenditore è una caratteristica che non dipende certo dal sesso: chi sceglie questa strada si trova di fronte a problematiche e opportunità simili. Per me tenere insieme i due mondi è stato naturale fin da subito, quando di solito i giovani pensano a divertirsi. I primi anni li ho investiti quasi totalmente nel lavoro, che coincideva con il tempo libero: ma professione e formazione hanno rappresentato un arricchimento inestimabile. Quindi i sacrifici fatti nel divertimento e nel privato oggi sono il patrimonio di esperienze che consolida la mia serenità, la stabilità e la sicurezza anche come donna”.Le risulta mai difficile tenere in equilibrio i ruoli dei due “mondi” cui appartiene?
“In realtà per me essere imprenditrice è uno stile di vita che mi accompagna da sempre, quindi chi sceglie di stare al mio fianco apprezza anche questa caratteristica e condivide questa mia imprevedibilità. In passato facevo molta più fatica a conciliare la famiglia e il lavoro: forse avevo meno esperienza. Oggi invece ho una grande consapevolezza di limiti e benefici di questo binomio, così li posso vivere serenamente, senza pretendere l’equilibrio perfetto, ma godendo delle soddisfazioni che si assaporano anche a casa dopo i sacrifici”.Le risulta complicato essere donna in un mondo di uomini?
“Ma io sono cresciuta in ambienti maschili, prima in Lamacart e poi nel mondo dei motori! Non ho neanche fatto in tempo a considerare la differenza tra uomo e donna che ero già catapultata nel cuore del lavoro operativo, troppo concentrata nell’acquisire competenze, coraggio e perseveranza necessari per potermi confrontare con le persone che incontravo. Oggi posso affermare che ciò che conta è la bontà dei contenuti, la serietà e la capacità di mettersi in discussione, di sostenere le proprie idee ma allo stesso tempo di adattarle alle necessità dell’azienda e dei propri interlocutori con intelligenza, senza presunzione”.

Quali sono pregi e difetti di ciascuno?
“Dagli uomini ho sicuramente imparato a essere pratica, coraggiosa, concreta, sintetica e più istintiva. Invece l’essere donna mi ha aiutata a sviluppare le capacità più collegate alla sensibilità, quali la mediazione, l’accoglienza, la capacità di cogliere sfumature che a volte possono cambiare l’essenza di un lavoro e di un rapporto, soprattutto se è indispensabile mettere al centro la relazione umana. Non considero invece le differenze come dei difetti, perché ogni caratteristica può risultare utile a seconda della situazione. L’importante è che il confronto sia aperto e che ognuno sappia prima di tutto essere se stesso”.

Si dice che le donne abbiano la capacità di costruire ponti e non muri: lei è d’accordo?
“Credo che questa opportunità sia alla portata di tutti, a prescindere dal genere. A me è capitato tutto e il contrario di tutto, sia lavorando con gli uomini che con le donne. Noto da sempre che le persone ragionevoli sanno che le alleanze sono l’unica strada verso il successo, qualunque sia l’obiettivo da raggiungere. Certo che quando scocca la complicità tra donne può rivelarsi un potente acceleratore di idee, di progetti e determinazione nel realizzarli. Si sa… in fatto di testardaggine noi donne siamo imbattibili!”

E quando invece bisogna imporsi, soprattutto nel lavoro, c’è uno “stile” femminile?
“Ah sì, certo… anche la caparbietà è nel Dna delle donne! Una volta non a caso si diceva “Chi dice donna dice danno”, e credo facessero riferimento proprio a questo. In realtà non è questione di imporsi, ma ritengo che spesso la donna senta il bisogno di far valere le sue posizioni soprattutto in ambiti in cui la sua professionalità non viene ancora pienamente riconosciuta. Fortunatamente ho sempre trovato ambienti collaborativi e meritocratici”.

Per carattere ha la tendenza a essere più dura o privilegia il dialogo e la mediazione?
“Il mio animo è sensibile, introspettivo e rivolto alla comprensione di ogni situazione. Con il tempo e le responsabilità inoltre ho dovuto imparare a essere più analitica, per il bene dell’azienda e dei miei collaboratori. Sul lavoro, soprattutto quando si gestiscono tante persone, devono valere le regole della squadra, che sono uguali per tutti. Naturalmente la stessa dinamica la adotto anche nel lavoro “fuori casa”, dove parole come meritocrazia, risultato e bene comune devono sempre prevalere su personalismi e umori”.

Tornando ai generi: meglio lavorare con gli uomini o le donne? Staff, clienti, partner…
“Non mi sono mai posta questa domanda. Io il feeling l’ho sempre avuto con il progetto. Se mi appassiona e mi interessa, per me in ufficio può anche esserci una tribù di indigeni che la sintonia nasce comunque spontanea. In generale mi piacciono le persone poliedriche e coraggiose, che non si fermano davanti agli ostacoli. Sono quelle che cadono ma dopo si rialzano, che colgono ogni prova con un pizzico di imprudenza, perché sanno che l’unico modo per crescere è saper affrontare le sfide… nel lavoro e nella vita”.

È possibile non mescolare il lavoro e la vita privata? Oppure portare in un ambiente tutti i problemi dell’altro è quasi inevitabile?
“Eh, bisognerebbe avere i superpoteri per riuscire a non farlo… A parte gli scherzi, quando il lavoro coincide con la propria scelta di vita è difficile non farsi travolgere, perché diventa una passione che ti mette sottosopra come un grande amore. Di sicuro oggi per me sono finiti i tempi in cui portavo a casa pensieri inutili: piuttosto mi confronto sui progetti e i problemi, per cogliere nuove sfumature o visioni sopra le parti che, viste da fuori con occhi non condizionati assumono forme diverse e a volte risultano molto più semplici da quelle che viviamo in ufficio. Poi è normale che ogni tanto a casa scatti il “pretesto punching-ball”, come lo chiamo io… Basta un motivo qualsiasi, anche banale, per giustificare uno screzio e scatenare un piantino, magari anche per la stanchezza del lavoro. L’importante è aver consegnato a tempo debito il “libretto delle istruzioni” a chi ci sopporta…”

Mentre prosegue il suo percorso personale si evolve anche la professione. Che sviluppi sono in corso per il museo?
“Il 6 luglio inaugureremo una mostra che festeggerà i 70 anni della Vespa e che durerà fino al 30 ottobre. Sarà una ricca esposizione con ben 70 modelli, e anche un momento molto importante per il Museo Nicolis, che rappresenterà il nostro cambiamento. Infatti, dopo tante attività dedicate all’ingegno dell’uomo e ad attività istituzionali, vogliamo raccontare e diventare la storia di tutti. In fondo la Vespa è uno dei patrimoni più condivisi d’Italia, un pezzo di storia che unisce generazioni, stili, racconti… ciò che oggi deve essere un museo”.

E quindi come si concretizzerà nel futuro questo progetto?
“Stiamo pensando di gettare un ponte tra il passato e il presente, quello che soprattutto i giovani hanno voglia di vivere pienamente – qui e ora – per riscoprire relazioni e tradizioni umane che spesso oggi restano paralizzate nel silenzio del mondo virtuale. Qui si devono riattivare tutti i sensi, l’ascolto, la parola, le emozioni. Un museo non deve più essere solo il luogo del sapere, ma un ambiente rivolto alla condivisione, in cui ognuno possa ritrovarsi ed essere protagonista. In altre parole l’esposizione si deve trasformare in una casa calda e accogliente, in cui riscoprire un pezzetto delle proprie radici, della famiglia e dei sogni. In tutto questo c’è un progetto internazionale di trasformazione: un museo che è un’impresa aperta approda a una cultura trasversale e virale, che ci porterà in giro per il mondo”.

Stefano Tenedini

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