Giulio Pedrollo, di Linz Electric, incontra Cassiopea

Coraggio e responsabilità per ricostruire l’impresa e la società del dopo crisi.

Sette anni di recessione, fallimenti, disoccupazione, incertezze. Ma anche di esperienze e di progetti per far ripartire l’economia e il territorio. Ai vertici di Confindustria nel periodo più buio per le aziende, ha imparato che alla fine vincono onestà, dialogo e visione strategica.
Giulio Pedrollo, veronese, sposato, ha tre figli ed è laureato in Ingegneria Meccanica all’Università di Padova con master al Politecnico di Milano. Ha fondato nel 2002 Linz Electric, di cui è l’amministratore unico, ed è inoltre amministratore delegato dell’azienda di famiglia Pedrollo SpA, leader nel settore delle elettropompe, nel cui management a partire dal 1998 ha svolto un’esperienza formativa e operativa durata quattro anni. Di grande peso la presenza associativa. In Confindustria è stato presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Verona dal 2008 al 2010, per venire quindi eletto presidente dei Giovani del Veneto; a livello regionale ha avuto dal 2011 la delega all’Education. Dal giugno 2013 presiede Confindustria Verona, dopo essere stato al vertice dei Metalmeccanici. Fa parte inoltre del Consiglio generale di Confindustria nazionale. Tra gli altri incarichi di rilievo, Pedrollo è componente del consiglio di amministrazione del Banco Popolare.
Cominciamo da una coincidenza: lei è diventato presidente dei Giovani Imprenditori di Verona nel 2008, mentre iniziava la crisi… che tempismo!
“Vero? Ora sembra uno scherzo, ma è andata esattamente così. Il 15 settembre del 2008 Lehman Brothers dichiarava bancarotta, e giusto un mese dopo, il 20 ottobre, prendevo il timone del Gruppo sulle orme di Carlo De Paoli. Il mondo dell’economia stava andando in frantumi e nessuno sembrava accorgersene. Eppure noi Giovani guardavamo già oltre. Nel mio discorso c’erano già le tracce del lavoro degli anni successivi: più spazio per le nuove aziende, una finanza più presente, la necessità di internazionalizzare, una scuola attenta ai bisogni dell’impresa, il desiderio di dare risposte sostenibili alla domanda di energia…”Ma ci sono voluti mesi, se non anni, per comprendere quanto fosse profonda la voragine che ha inghiottito risorse, aziende, lavoro, speranze.
“Le aziende non si erano bloccate subito: anzi, il ciclo espansivo è proseguito per inerzia e i bilanci non ne avevano risentito almeno per un altro anno. Si faceva fatica a capire quella doppia realtà. A dire il vero qualche voce preoccupata c’era. Ricordo che nei seminari del Gruppo Giovani si alzava qualche voce critica, eppure per molti quelle analisi preoccupate erano solo delle Cassandre. Anzi, un anno dopo qualcuno si illudeva che il peggio fosse già passato. Ma ripensandoci ho la soddisfazione di poter dire che non eravamo tra questi”.Infatti all’assemblea dell’anno successivo avevate messo il mondo economico di fronte alla necessità di agire, perché cambiamento non era più rimandabile.
“Lo avevamo chiamato “manifesto delle energie” perché chiedevamo di rimettere in moto le energie dell’uomo, del capitale, del coraggio e della Terra. Ci sembrava che alla società mancassero la motivazione e una strada da seguire, che la finanza si fosse avviata su una brutta china improduttiva, da riorientare verso la crescita. Ma anche che il coraggio fosse stato sostituito dalla paralisi, mentre le fonti energetiche venivano dissipate, con il pianeta messo a rischio. Chiedevamo di cambiare passo, e il tempo ci ha dato ragione”.

Un messaggio forte: secondo lei è ancora attuale?
“Certamente, su questo non ho alcun dubbio. I valori alla base della cultura d’impresa non sono diversi: ci servono sempre uomini e imprenditori coraggiosi, così come un capitale in grado di sostenere un progresso concreto e non fittizio, e rinnovare le risorse disponibili. Sono tornato proprio su questo argomento recentemente in una sede istituzionale, perché non mi sembra che la battaglia sia stata vinta. E mentre parlavo vedevo annuire una platea fatta soprattutto di uomini delle Stato. Vuol dire che il problema che segnalavamo sei anni fa è ancora in primo piano. I giovani hanno questa possibilità, il dovere di precorrere i tempi nella visione di un futuro possibile. E i “grandi” li devono ascoltare”.

Il passaggio successivo è stato la presidenza dei Giovani Imprenditori veneti. Ma quanto ha contribuito alla sua formazione questa esperienza?
“È stata assolutamente fondamentale. Non soltanto perché ha coinciso con gli anni più bui della recessione, costringendomi a confrontarmi con drammatiche crisi aziendali e con i drammi umani, ma anche perché è stata veramente un’opportunità unica per crescere. Abbiamo raccolto la sfida. Papa Wojtila diceva, anzi gridava “Non abbiate paura!”, e noi ci abbiamo trovato la forza nei nostri valori, primo fra tutti il coraggio consapevole. Abbiamo vissuto momenti emozionanti, che ci hanno formato e arricchito tutti, me per primo”.

Una consapevolezza che è riuscito a riportare anche all’interno della sua azienda?
“Sì, e questo ne ha certamente raddoppiato il valore. Come dice sempre Nerio Alessandri, il creatore di Tecnogym, è proprio nelle piccole imprese, forse perché sono più fragili, che le difficoltà fanno emergere i talenti. Quelli della crisi sono stati anni formativi ma anche di crescita, perché nonostante Linz Electric avesse già costruito una sua struttura, ci siamo quasi sentiti di nuovo una start-up, ricominciando da capo ogni giorno. La grande crisi ci è piombata addosso dopo sei anni di crescita entusiasmante: senza i modelli mentali ispirati da Alessandri o da Brunello Cucinelli avremmo fatto più fatica a ripartire. La difficoltà ci ha stimolato, tanto che oggi, rispetto all’inizio della crisi, il nostro fatturato è raddoppiato”.

Nel 2013 il ritorno in Confindustria Verona come presidente senior. Quali competenze ha portato, e quali obiettivi si è riproposto?
“Tra me e Confindustria c’è un feeling che continua a crescere. Se mi guardo indietro vedo che mi sono avvicinato alla vita associativa per rispondere a una mia esigenza: desideravo costruire un mio network personale di conoscenze, sintonie, alleanze, che mi aiutasse nel cammino di imprenditore. Ne sono rimasto imbrigliato, affascinato dalle opportunità che andavo scoprendo. E poi ho capito che potevo mettere a disposizione del sistema, delle aziende associate e del territorio le conoscenze che acquistavo e che poi sono diventate competenze utili anche in azienda. Se non hai esperienza la teoria non basta, e non puoi dare consigli se non hai provato sulla tua pelle. Confindustria per me è stata una palestra dove sono entrato da allievo e dove oggi posso essere utile come allenatore”.

Provi a raffigurare con un’immagine che cosa ha significato per lei come uomo e come imprenditore questo percorso in Confindustria.
“Ho sentito dare dell’associazionismo imprenditoriale numerose definizioni, ma ce n’è una nella quale mi riconosco volentieri. Lo considero sia una sorta di volontariato che come un viaggio alle frontiere del possibile. Qualcuno si ritrova in altre caratteristiche: chi la giudica una corsa in un campo minato – specialmente in un periodo di crisi – altri come un’utile esperienza da fare nella stanza dei bottoni, oppure qualcosa a metà fra il servizio militare e il reparto incurabili in un ospedale… viste le ricorrenti difficoltà dell’Azienda Italia. Io a Confindustria riconosco il valore di fare squadra, il grande apporto anche in termini di informazioni, di visione, di motivazione e di coraggio. Inoltre, forse l’aspetto di maggiore rilevanza, l’avere costruito un network che è oggi un insostituibile patrimonio di contatti , di visioni e di conoscenze che alimenta non solo me e la mia azienda ma anche tutto il gruppo industriale di famiglia”.

È difficile mantenere l’equilibrio e la caratteristiche personali rivestendo un ruolo che si considera “di potere”? Avendo a che fare con la politica, tanto per capirci?
“Mah, se vogliamo definire la presidenza di Confindustria Verona un posto di potere… io ci sto, non mi tiro indietro. Però aggiungo che dal potere derivano grandi responsabilità, e qui ci possono venire in aiuto solo i nostri personali valori etici. Con la politica, l’economia deve confrontarsi per lo sviluppo del territorio, soprattutto in anni terribili come questi, che hanno visto l’aggravarsi della crisi, i fallimenti, la disoccupazione, il pessimismo che ha colpito anche il Nord Est. Eppure nonostante tutto si fa impresa, si cerca la fessura dalla quale far entrare una luce alla fine del tunnel. Dalla mia riconosco di avere un grande vantaggio: sono un uomo libero, non sono condizionato dai poteri forti, politica e finanza le considero alleate per una crescita comune, non come nemiche cui fare la guerra”.

I numeri dell’ultimo periodo le stanno dando ragione. C’è qualche segnale favorevole, anche se non basta, e bisogna ricostruire anche il tessuto sociale.
“Abbiamo alle spalle dieci trimestri di crescita. Non è fatta, ma è un inizio incoraggiante. Ci sostengono anche un tasso di disoccupazione tra i più bassi d’Italia, un buon tenore di vita, un’università quotata e infrastrutture da cui ripartire. Certo, i rischi rimangono ma stiamo alla finestra. Dalla quale, ad esempio, vedremo se anche la politica condividerà l’obbligo di agire. Nel frattempo abbiamo ricostituito un complesso sistema di relazioni e di dialogo tra gli enti economici. Per il bene di Verona abbiamo assunto moltissime decisioni collegiali, come per l’Aeroporto, la Fiera, la Camera di Commercio o Verona Mercato. E nelle partite della politica non staremo a guardare: ci sentiamo coinvolti, è responsabilità delle imprese anche questa, faremo la nostra parte senza ingerenze ma anche senza distacco”.

Possiamo uscirne in piedi?
“Se si fanno le cose per bene, senza cedere al malgoverno del territorio, dando una visione strategica agli obiettivi di Verona… sì, ce la possiamo fare. Fortunatamente l’impegno di tutti ha generato anche risultati oggettivamente positivi. Faccio un solo esempio che mi sta particolarmente a cuore: avere salvaguardato il futuro della Ferroli e centinaia di posti di lavoro è il frutto di uno sforzo collettivo del quale dobbiamo essere tutti orgogliosi. Non so se l’economia mondiale abbia compiuto il suo viaggio all’inferno e ritorno, ma oggi le imprese, con il loro talento, l’innovazione, le competenze e il coraggio possono davvero rappresentare quella marcia in più necessaria a far ripartite l’Italia”.

 

Stefano Tenedini

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