Il vero leader sa ammettere gli errori, e impara da essi

Oggi più che mai è necessaria una quotidiana opera di educazione alla responsabilità, un valore che purtroppo si è andato via via perdendo e che va assolutamente recuperato. In questo senso, proviamo a pensare quale effetto il pensiero, fin troppo diffuso, del “non è compito mio intervenire se qualcosa non sta andando bene”.

Ma davvero qualcuno di noi può sentirsi “innocente”? Vorremmo dai nostri dipendenti e dai nostri manager un serio approccio verso la responsabilità individuale: una richiesta giusta e lecita, ancor più importante in un mercato che cambia e obbliga a performance sempre più competitive. La domanda che mi pongo però è questa: noi imprenditori siamo d’esempio o come leader temiamo di esporci nell’ammettere i nostri errori?

Pensiamo forse che difendere a tutti i costi la nostra leadership sia più importante che essere una guida autorevole anche in circostanze meno favorevoli al nostro potere?

E quindi arriva la domanda fondamentale: abbiamo riflettuto bene e fino in fondo sul significato personale e sociale che diamo al potere? In qualsiasi libro che parli di leadership troviamo scritto che significa saper condurre le persone verso la meta, esercitando un potere da loro riconosciuto come legittimo. Inoltre la leadership è il mix tra un’autorità che ci viene data dal ruolo ricoperto e l’autorevolezza che ci viene riconosciuta da nostri seguaci. Bene, e quindi il leader cosa deve fare?

Io penso che la prima cosa per non incorrere in incertezze e conflitti interiori sia andare alla ricerca del significato che ha per noi il potere e individuare nel nostro passato tutte le forme di potere che abbiamo incontrato. A partire dai genitori, dalla maestra e dagli insegnanti delle superiori ai docenti universitari, a qualche sacerdote che abbiamo incontrato, ai datori di lavoro, ai colleghi, agli amici, fino ai partner e alle scelte affettive che abbiamo fatto. Tutti gli incontri della nostra vita sono necessari per un’evoluzione personale: capire perché abbiamo scelto di incontrare certe persone ci aiuta a comprendere di che cosa avevamo bisogno da loro.

Se penso a un mio ex socio, per esempio, mi è perfettamente chiaro che cercavo una protezione maschile; ma al tempo stesso, volendo essere una leader, ovviamente mi ero scelta un socio forte solo in apparenza, ma in realtà profondamente fragile e timoroso di affrontare qualsiasi tipo di rischio e responsabilità. Quindi un non leader. Durante il periodo di tensioni e traversie per dividere le nostre strade, non avevo la lucidità necessaria per comprendere il grande passaggio che stavo compiendo per la mia crescita professionale. Ora, però, se penso a lui lo ringrazio, perché mi ha dato la consapevolezza di quanto volevo essere leader io e di come lo volevo essere.

Oggi so che non voglio protezione, ma confronto: non mi serve la fragilità altrui, ma la forza e la determinazione dell’altro con il quale sviluppare idee e i progetti. Non mi serve dimostrare, ma esprimermi nel trovare nuove idee che siano veramente innovative e utili per i miei clienti. Oggi sono diversa perché ho lavorato molto su me stessa per comprendere come ho potuto permettere a tante persone che ho incontrato di esercitare un potere su di me. Ho capito perché ho scelto chi tenermi vicino nella vita e chi allontanare, in quanto proseguire insieme non sarebbe più stato utile, anzi a volte dannoso.

Oggi posso tranquillamente dire “ho sbagliato” oppure “hai ragione tu”, perché questo non mi toglie nulla, anzi mi dà forza e potere. Quando lo ammetto sento dentro una serenità che mi fortifica e che mi rende migliore. Mi sento una guida nel dimostrare che un leader coglie sempre l’occasione per essere esempio nell’assumersi realmente le proprie responsabilità.

E oggi sono pronta per fare un altro passo avanti per la mia crescita.

Tiziana Recchia
24/01/2019 • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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