Sara Mozzo, un passo dopo l’altro nell’azienda di famiglia: “Per essere un buon leader è importante conoscere i propri collaboratori ed essere consapevoli di ciò che comporta il loro ruolo”

“Avevo sempre saputo che il mio futuro sarebbe stato qui, in questa azienda: sia per senso di responsabilità verso la mia famiglia sia, soprattutto, per una questione professionale. In una grande azienda sei in numero, in una media o piccola hai un valore diverso”. Sara Mozzo, oggi direttore generale e responsabile dell’ufficio risorse umane di Mozzo Prefabbricati, ha fatto una sua gavetta prima di entrare a piccoli passi nell’impresa fondata nel 1971 dal padre, che aveva fiutato le potenzialità della prefabbricazione industriale. Laureata a Padova in Ingegneria Civile, ha conseguito una specializzazione in Strutture. Ha frequentato poi al Cuoa un master in Gestione integrata d’impresa, seguito da uno stage e da un incarico tecnico in una grande azienda friulana. “Terminati i tre mesi mi chiesero di restare, mi proposero di andare a Dubai. Ci pensai, fui contenta della proposta, ma rifiutai. Non volevo essere un numero, mandato da una parte all’altra del mondo. La dimensione della Pmi si adattava più ai miei desideri professionali”.

E così è entrata nell’azienda di famiglia. Come sono stati i primi anni?
Era il 2006. Venire qui non è mai stata una costrizione: mio fratello lavora in azienda da due anni, mia sorella maggiore fa tutt’altro. Guardando a quel periodo, mi rendo conto che ero molto severa con me stessa. E poi, inevitabilmente, c’era anche chi mi metteva alla prova: donna in un’azienda molto maschile, fresca di laurea e con un cognome “pesante”. Quindi nei primi anni ho tenuto un profilo molto basso, lavorando anche 12 ore al giorno.

Con che ruolo ha iniziato?
Entrata come ingegnere calcolatore nell’ufficio tecnico, dopo qualche tempo ne sono diventata responsabile. Ho iniziato così a relazionarmi con le altre figure, guardando a più ampio raggio all’interno azienda, iniziando a volgere lo sguardo verso la direzione generale. Tanto che negli anni successivi, quando si aprì una posizione come responsabile degli acquisti, decisi di propormi: non era il mio campo, è vero, ma avevo il desiderio di conoscere meglio l’impresa, di capire come funzionava. Mio papà l’azienda l’ha creata da zero, la conosce benissimo. Io la volevo e la dovevo comprendere a modo mio, con i miei occhi e sulla base delle mie esperienze. Quando poi è arrivata la risorsa giusta ho ceduto il posto, ma intanto io avevo avuto l’opportunità di ampliare i miei orizzonti: per essere un buon leader è importante conoscere i propri collaboratori ed essere consapevoli di ciò che comporta il loro ruolo.

Un passo avanti, in questo percorso, è stato il ruolo da responsabile delle risorse umane.
Mai l’avrei immaginato. Ma, anche in questo caso, si era aperta una posizione e nell’attesa di trovare la persona giusta sono andata io. Quella delle risorse umane è una realtà nella quale sono ancora immersa, ed è in continua evoluzione. Provenendo da un percorso tecnico ho sentito l’esigenza di avviare, insieme a Tiziana Recchia, un percorso formativo anche in questo ambito, che si è rivelato fino ad oggi efficace e che sono sicura continuerà ad esserlo nel futuro. Parallelamente sto portando avanti un altro percorso fondamentale oggi per un’impresa, quello di “brand ambassador”: una funzione che forse ha iniziato a concretizzarsi contestualmente all’avvio del passaggio generazionale e che va fortificandosi nel tempo, sicuramente in relazione ai ruoli assunti, dentro e fuori l’azienda.

Cassiopea la sta accompagnando anche nel passaggio generazione interno all’azienda.
Credo che, almeno nel nostro caso, quando si parla di questo passaggio non ci sia una data di inizio. È un percorso graduale che sicuramente nel tempo mi ha portato ad avere un ruolo complementare a quello di mio padre. Lui ha una grande apertura e continua a rappresentare l’anima dell’azienda, una risorsa fondamentale: sulla parte produttiva e di stabilimento è il mio principale riferimento mentre su altri temi, come ad esempio digitalizzazione, novità normative, risorse umane ho avuto la possibilità di maturare una mia esperienza. All’inizio, quando sono entrata in azienda, avevo molti timori, legati anche al mio cognome.  Poi i collaboratori hanno avuto modo di valutarmi per quello che so fare, mi sono guadagnata una mia autorevolezza: anche questo ha fatto parte del passaggio generazionale.

Lei è madre e imprenditrice: qual è la sua ricetta per trovare un equilibrio tra questi due ruoli?
Non è facile. Ho tre figli e i maggiori timori li ho avuti con la nascita del primo: mi sentivo in colpa verso di lui, temevo di non dargli abbastanza tempo, ma anche verso l’azienda, alla quale non riuscivo a dedicare le stesse ore di prima. Ho imparato a concentrare le attività nell’arco delle 8, 9 ore, o anche 10 quando serve. Questo significa lavorare più intensamente, aumentare la concentrazione e quindi la produttività. Poi, col numero di figli, è aumentata anche la capacità di organizzarmi e quindi la serenità di riuscire a conciliare famiglia e lavoro.

Ora state facendo i conti con una fase economica caratterizzata da una forte incertezza, causata dal post pandemia. Come vede i prossimi mesi?
Se le imprese investono noi lavoriamo, altrimenti la domanda cala. E se il futuro non è chiaro, gli imprenditori faticano a programmare, restano alla porta. Quando abbiamo riaperto a maggio, dopo il lockdown, non avevamo richieste di preventivi né riuscivamo a chiudere trattative. Nei mesi successivi abbiamo assistito a un maggiore dinamismo, è aumentata la voglia di ripresa da parte degli imprenditori che tuttavia, prima di investire, preferiscono vedere come evolve la situazione. L’autunno potrebbe rappresentare la chiave di volta, dovrebbe esserci un rilancio che tuttavia fatico a vedere da questi ultimi decreti firmati dal Governo. Manca, dal mio punto di vista, una pianificazione di medio e lungo termine che è fondamentale per le imprese, soprattutto le piccole e medie: troppo spesso lo Stato si dimentica di noi, che ci troviamo sempre nelle condizioni di doverci arrangiare.

Un supporto importante alle imprese può arrivare da Confindustria. Nel 2017 lei è stata chiamata nella squadra del presidente Michele Bauli.
E’ stata una sorpresa, arrivata dopo anni di partecipazione alle attività del Gruppo Giovani di Confindustria Verona, dove ho ricoperto anche degli incarichi. Se guardo indietro, ricordo quando mio padre mi spinse a entrare nell’associazione. Quella nel Gruppo Giovani fu una esperienza fortissima e importante che mi ha permesso di crescere, entrando a contatto con imprenditori che nell’affrontare l’azienda vivevano timori e dubbi simili ai miei, percependo spesso gli stessi limiti. In quegli anni, oltre alla rete di contatti, ho avuto l’opportunità di crearmi un importante bagaglio di cultura d’impresa.

E oggi?
Ora, come vicepresidente di Confindustria Verona, ho la delega al marketing e ai servizi per lo sviluppo industriale: strumenti per affrontare la burocrazia, numerose convenzioni, i consorzi di acquisto per le forniture di energia, le reti di impresa per creare un network tra clienti e fornitori e generare business anche all’estero. Confindustria, inoltre, permette di restituire alle imprese la loro forza e la loro voce. È fondamentale però partecipare alla vita associativa: un investimento, anche di tempo, che sul medio lungo periodo porta vantaggi all’imprenditore e alla sua impresa.

A cura di Francesca Lorandi

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